In aumento la steatosi epatica, cioè l’accumulo di grasso nel fegato. Una condizione che non solo può progredire fino a condurre a gravi danni dell’organo (come la steatoepatite non alcolica, o «Nash»), ma anche aprire la strada al diabete. Il rimedio però è facile perché si fonda soprattutto su movimento e smaltimento dei chili in eccesso.
Il rischio di steatoepatite non alcolica («Nash»)
Di fegato grasso (o steatosi epatica) si parla a Milano, in un congresso organizzato dal Gis-Nash, il Gruppo italiano di studio della Nash nelle malattie infettive, sotto l’egida della Società Italiana di Malattie Infettive (Simit). «Secondo gli ultimi dati della letteratura internazionale, circa il 30-40% dei pazienti con steatosi epatica sviluppa la Nash (non alcoholic steato-hepatitis, steatoepatite non alcolica), con un rischio di progressione verso un quadro di fibrosi che si aggira intorno al 40-50% – spiega Carlo Filice, professore di Malattie infettive all’Università di Pavia e direttore della struttura di ecografia di malattie infettive del Policlinico San Matteo -. Le epatiti virali B e C, grazie ai vaccini e ai nuovi farmaci, stanno gradualmente diminuendo e si può auspicare la loro scomparsa. La Nash diventa così la causa principale per trapianto di fegato, perché si innescano processi che portano a cirrosi e poi al trapianto». Negli Stati Uniti, nella popolazione adulta, la steatoepatite non alcolica rappresenta già la causa principale di cirrosi e la seconda causa di trapianto epatico. E si candida ad essere la malattia più diffusa al mondo. «Nel 2020 avremo tre miliardi di persone che soffriranno di questo tipo di dismetabolismo – sottolinea Filice -. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha già individuato la Nash come una delle patologie più importanti da affrontare a causa delle difficoltà di diagnosi e per le conseguenze che può avere».
Nella grande maggioranza dei casi, chi soffre di Nash apparentemente sta bene. Per diagnosticarla servono una biopsia o una risonanza magnetica e la maggior parte dei casi resta sommersa. La steatoepatite non alcolica può sorgere per complicanze di malattie infettive, negli ex epatitici o nei soggetti con Hiv; per il diabete; per l’abuso di farmaci e per le relative interazioni tra loro (in Italia più del 60% di chi ha oltre i 60 anni prende più di 5 farmaci); può derivare da una dieta errata o dallo stile di vita. Queste situazioni portano prima al fegato grasso, che può rimanere stabile o evolvere in forme più gravi. Chi è affetto da Nash rischia cirrosi, tumore epatico, patologie cardiovascolari come infarto e ictus. «Ad oggi non esistono terapie – conclude Filice -. Può essere utile avere un corretto stile di vita, a partire dall’alimentazione con la dieta mediterranea. È poi indispensabile una riduzione delle calorie nel caso in cui il soggetto sia sovrappeso ed è sempre necessaria una regolare attività fisica. Tuttavia, farmaci ad hoc ancora non ci sono. Stiamo lavorando nella ricerca e l’auspicio e che si possano realizzare farmaci attivi nell’arco dei prossimi due anni».
Fonte corriere.it